Nicola Bindoni: “Il mio processo creativo è strettamente connesso alle esperienze personali e familiari e si sviluppa attraverso la produzione di opere in serie, ognuna delle quali racconta brevi storie ispirate dalle esperienze fisiche e psicologiche dei soggetti rappresentati.

Come e perché hai iniziato la tua carriera artistica? 

 

Ho intrapreso la mia carriera artistica spinto da una combinazione di passione innata e curiosità intellettuale verso l’arte come strumento di espressione. Fin dall’infanzia, sono stato affascinato dal potenziale narrativo ed emotivo delle immagini e del linguaggio visivo. Questo interesse mi ha portato ad esplorare diverse forme artistiche, dal disegno alla pittura, dalla fotografia al video.

Un elemento centrale del mio percorso è stato il desiderio di stabilire una connessione autentica con gli altri. L’arte, per me, rappresenta un mezzo per indagare temi legati alla condizione umana: esperienze individuali, che accomunano o distinguono ogni persona. La volontà di trasmettere queste riflessioni e di instaurare un dialogo con il pubblico ha costituito una delle principali motivazioni alla base della mia scelta.
La mia carriera ha preso forma nel momento in cui ho capito che l’arte poteva rappresentare non soltanto un hobby ma una vera e propria vocazione. Ho compreso che attraverso di essa potevo contribuire ad una narrazione più ampia e ad una continua riflessione su temi quali l’identità, la cultura e la società. In sintesi, ho intrapreso questo percorso artistico per rispondere ad un’esigenza profonda di esplorazione e condivisione del mondo interiore ed esteriore, con l’obiettivo di coniugare l’espressione personale con una ricerca di connessione più profonda con gli altri.

 

Come hai scoperto il tuo medium e perché lo hai scelto? 

 

Durante gli anni del liceo, navigando sui social media, ho casualmente scoperto le opere di Steven Spazuk, un artista canadese che utilizza una tecnica poco conosciuta: il Fumage, che utilizza la fuliggine prodotta dal fuoco come pigmento. Spinto dal desiderio di esplorare materiali non convenzionali e processi meno controllabili, ho iniziato a sperimentarla personalmente, attratto dalla sua imprevedibilità e dalla capacità di generare forme spontanee e quasi eteree.
Successivamente, durante il percorso accademico, ho scoperto la pittura a olio, più adatta alle mie esigenze artistiche attuali, essa mi ha offerto la possibilità di approfondire lo studio della luce e della profondità, elementi essenziali nella mia attuale ricerca. Considero il passaggio dal Fumage alla pittura ad olio un’evoluzione naturale del mio percorso artistico: dalla spontaneità e dal caos del fuoco alla paziente costruzione della forma e del colore.

 

Puoi raccontarci il tuo processo creativo? Come nasce il tuo lavoro? Quanto tempo impieghi per creare un’opera? Quando sai che è finito? 

 

Il mio processo creativo è strettamente connesso alle esperienze personali e familiari e si sviluppa attraverso la produzione di opere in serie, ognuna delle quali racconta brevi storie ispirate dalle esperienze fisiche e psicologiche dei soggetti rappresentati. Immagini intime e velate, spesso legate alla dimensione familiare, nelle quali lo spettatore può identificarsi, trovando risonanze nei propri ricordi e vissuti personali. L’illuminazione è un elemento centrale nel mio lavoro: essa mi consente di trasmettere un senso di mistero e ambiguità, creando uno spazio ed un tempo indefiniti attorno ai soggetti ritratti. Le figure che dipingo appaiono solitarie, silenziose, con lo sguardo negato o celato. Questa scelta è intenzionale: privando i soggetti di un’identità definita, offro allo spettatore l’opportunità di riconoscersi, anche solo parzialmente, nelle storie che racconto.
Ho iniziato questo percorso circa tre anni fa, quando a mia madre è stato diagnosticato un tumore al seno. La pittura divenne per me un mezzo attraverso cui affrontare e metabolizzare l’esperienza che stavamo vivendo come famiglia. Ho iniziato a documentare il percorso di cura di mia madre, fotografandola durante gli interventi e le terapie, trasportando successivamente le immagini sulla tela.

Questi lavori raccontano storie di dolore e sofferenza, tematiche spesso evitate, ma che sono intrinsecamente umane e universali.
Il mio lavoro, originato all’interno del contesto familiare, si è poi esteso anche al di fuori delle mura di casa, continuando ad esplorare situazioni di sofferenza e fragilità umana appartenenti ad altre persone. Potremmo considerarlo un viaggio interiore ma al tempo stesso universale, che mira a portare alla luce esperienze spesso nascoste, ma che possono accumunare tutti noi.

Il tempo necessario per completare un’opera varia considerevolmente: dalla fase conoscitiva del soggetto agli scatti fotografici, per arrivare infine alla produzione pittorica. Potremmo definire il mio approccio come “riflessivo”, poiché ogni dipinto rappresenta un’esplorazione profonda degli stati emotivi e psicologici dei soggetti. Non posso prevedere con precisione quanto tempo impiegherò per completare un’opera.
Riconosco un lavoro come concluso quando considero di essere riuscito ad evocare quel senso di sospensione emotiva e psicologica che costituisce il cuore della mia ricerca.

 

Chi sono i tuoi artisti preferiti? Quali ti ispirano? 

 

Gli artisti che mi ispirano maggiormente condividono la capacità di esplorare temi come l’intimità, la memoria e la condizione umana, elementi centrali anche della mia ricerca. Un aspetto che molto spesso accomuna queste figure è la capacità di creare atmosfere sospese e ambigue, in cui i soggetti sembrano fluttuare tra il visibile e l’invisibile, stimolando riflessioni profonde sullo spazio psicologico ed emotivo.

Mi affascina il modo in cui Michael Borremans utilizza la luce e le ombre per intensificare l’espressività dei suoi soggetti, creando ambienti indefiniti che invitano a scoprire il non detto. Allo stesso modo, la sincerità disarmante con cui Nan Goldin documenta esperienze personali di dolore e guarigione attraverso la fotografia. Questa ricerca di autenticità si riflette anche nel lavoro di Mamma Andersson, che, attraverso il suo stile onirico e intimista, costruisce spazi tra sogno e realtà, creando un sottile equilibrio tra quotidiano e misterioso.
Da un punto di vista tecnico-pittorico, inoltre, apprezzo molto il lavoro di Louise Giovanelli ed Anthony Cudahy. La loro capacità di intrecciare l’esperienza personale con temi universali mi ispira costantemente a esplorare l’arte come mezzo di narrazione emotiva e psicologica.

THE ARTIST

Nicola Bindoni studio
Name: Nicola Bindoni
Residence: Italy
Occupation: Painter

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