Come e perché hai iniziato la tua carriera artistica?
A un certo punto della mia vita mi sono resa conto che stavo sbagliando qualcosa, chequella che stavo percorrendo non era la strada giusta. È stata un’enorme presa di coscienza e ne sono seguiti una serie di cambiamenti che hanno radicalmente modificato le cose. Ero al secondo anno di università quando ho dipinto il mio primo quadro, ma non riuscivo a finirlo: l’ho iniziato a casa dei miei genitori e poi l’ho portato con me a Trieste, dove abitavo. Qualche tempo prima avevo scoperto che sotto casa c’era lo studio di un pittore: un giorno decisi di andarlo a trovare, presentarmi e chiedergli di farmi vedere lo
studio e i suoi lavori. Fu bellissimo e alla fine, prima di andare, gli chiesi se sarebbe stato un disturbo se gli avessi portato a vedere quel quadro che non riuscivo a finire. Glielo portai il giorno dopo e mentre lui mi consigliava come fare, in un paio di giorni lo finii, lo firmai e scrissi sul retro della tela “n.1”, come mi aveva suggerito lui. Continuai ad andare nel suo studio a dipingere ogni giorno: dipingevo i miei quadri, lui i suoi e la sera fumavamo sigarette e bevevamo vino. Non andavo più all’università, quindi lasciai gli studi e mi iscrissi all’Accademia. Quando andai a salutare il mio amico pittore fu tutto molto strano e un po’ triste, poi me ne andai. Da quel periodo non ho mai smesso di dipingere, potrei dire che è stato l’inizio della mia carriera.
Come hai scoperto il tuo mezzo e perché l’hai scelto?
Sin da piccola il disegno è sempre stato il mio “strumento”, il modo migliore e più efficace per dire qualsiasi cosa. Disegnavo continuamente e crescendo ho iniziato a tenere dei quaderni che per me sono sempre stati molto intimi e preziosi. Il disegno è un mio alleato, un medium a cui posso sempre tornare per chiarirmi le idee e un filo conduttore. La pittura è arrivata dopo, con tutte le sue complessità riguardo al colore, all’uso dei pennelli, ma anche alle dimensioni dei lavori, che non potevano più essere chiusi dentro a un quaderno. La pittura è stata una naturale, inevitabile evoluzione, la cui comprensione probabilmente durerà per il resto della mia vita, almeno spero. Se un disegno può completarsi all’interno di un foglio, per un quadro è diverso, almeno per me: un quadro è permeato di piani -spaziali e temporali- che si muovono, che aprono continuamente a nuove possibilità; le forze potenziali del colore e della materia, in tutte le proprie modalità di utilizzo, sono infinite. Un quadro è una finestra che si può affacciare su qualsiasi cosa e le illimitate possibilità che serba sono elettrizzanti. Quindi in realtà non ho mai fatto una vera e propria scelta: il disegno e poi la pittura sono ciò che mi è più aderente, ciò di cui non potrei fare a meno.
Puoi parlare del tuo processo creativo? Come nasce il tuo lavoro? Quanto tempo ci vuole? Quando sai che è finita?
Io inizio dalle fotografie: ne ritaglio da libri, riviste, enciclopedie, oppure le trovo su internet e le stampo. Le accosto fra loro e cerco di trovare delle buone combinazioni, qualcosa che mi interessi: la maggior parte delle foto sono di corpi umani o di animali, poi cerco oggetti e paesaggi naturali. Una volta creato un dialogo tra le foto disegno, solitamente a olio su carta, e se sento che il disegno è forte lo porto in pittura. Il disegno è una sorta di scheletro a cui aggiungere muscoli, arterie, pelle, vestiti e la forma finale che assumerà si saprà solo a quadro finito. Un mio lavoro nasce così, non inizio mai a dipingere senza avere un buon punto di partenza, ma poi è tutto ricerca e scoperta: è bellissimo vedere come il quadro cambia e si districa fino a trovare la sua forma. Per quanto riguarda i tempi, sono molto veloce nelle prime fasi di impostazione e costruzione del dipinto, mi immergo totalmente nel lavoro e dipingo per ore senza staccare; solitamente in due o tre giorni porto un quadro quasi alla fine, ma poi, se ne ho la possibilità, lo lascio a riposare e inizio a lavorare a qualcosa di nuovo. Ad esempio ora sto facendo una residenza e ho uno spazio grande e tutto mio che mi dà la possibilità di lavorare su più quadri contemporaneamente: questo mi permette di intessere dei dialoghi tra i diversi lavori, di modo che siano loro stessi a suggerirmi come risolvere alcuni problemi pittorici, e di lasciar passare il tempo necessario -a volte un tempo lungo- tra questa prima lavorazione veloce e istintiva e una conclusione che definirei più lenta e riflessiva.
Certe volte so che un quadro è finito perché ha raggiunto la soglia, l’increspatura della superficie, e non posso più aggiungere né togliere: sento che il dipinto ha una sua fisicità, un suo peso, che è autonomo. Altre volte è molto difficile capire se un quadro è finito: probabilmente andrebbe sconvolto, cambiato radicalmente con una velatura intensa e decisa, oppure rifatto. Diciamo che se sento che un quadro proprio non finisce, o ci dipingo qualcosa di totalmente nuovo sopra o lo rifaccio da capo.
Chi sono i tuoi artisti preferiti? A quali ti ispiri?
In questo periodo gli artisti contemporanei che ammiro di più sono Ambera Wellmann, Guglielmo Castelli, Paola Angelini, Victor Man, Coleen Barry, Katherina Olschbaur, Alessandro Fogo, Andrei Pokrovskii.
Guardo però veramente a tanti artisti e a tanta pittura diversa, non per forza vicina al mio linguaggio. Mi vengono in mente anche Dana Schutz, Cecily Brown, Joan Mitchell e Henry Taylor. Sofonisba Anguissola, Hilma af Klint, Leonor Fini. E tanti altri.