Hai una formazione in architettura e in gestione dell’arte e del patrimonio culturale. Come si integrano e influenzano queste discipline nel tuo lavoro quotidiano come consulente d’arte?
Ho la grande fortuna di avere come base di tutto una formazione artistica: un percorso sperimentale con basi ferree in Storia dell’arte e tecniche artistiche che supportano quotidianamente il mio lavoro. Affronto ogni fenomeno espressivo con i piedi per terra, partendo dal gesto per arrivare al significato: credo fermamente che un grande artista sia colui che possiede la capacità di concretizzare il proprio pensiero, prevedendo la possibilità di farlo evolvere a contatto con la materia. L’inconsistenza concettuale e la bravura sopraffina mi annoiano profondamente.
Come approcci il processo creativo di allestimento per l’arte contemporanea?
Guardo al passato con ammirazione verso quell’architettura così alta da riuscire a farsi da parte per valorizzare le opere. I musei spesso parlano molto di chi li ha costruiti, ma esempi come Carlo Scarpa e Tadao Ando ci hanno dimostrato che per raggiungere l’obiettivo della valorizzazione artistica, l’architettura deve saper “scomparire” con maestria.
Quali temi ritieni essenziali nel tuo percorso professionale? C’è un consiglio particolare che tendi a dare a coloro che stanno cercando di inserirsi nel mondo dell’arte contemporanea?
Un tema per me fondamentale, dal quale derivano a cascata tutti gli altri, è il “ruolo sociale dell’arte contemporanea”. Tuttavia, la capacità di trasmettere una visione di cambiamento reale, preannunciandolo con coraggio attraverso le opere, oggi rappresenta una sfida molto impegnativa per due motivi.
Il primo è rappresentato da un mercato disumanizzato che non ragiona in termini etici o di sostenibilità socio-ecologica. Il secondo è la costante deviazione del contemporaneo verso un commerciale per ricchi annoiati… arte frivola e disimpegnata in un momento storico in cui il pianeta brucia, gli squilibri sociali sono ai massimi storici e le guerre annientano intere popolazioni.
In questa contemporaneità bella e travagliata per fortuna c’è ancora tanto spazio per il racconto artistico, ed il mio consiglio per “inserirsi nel fantastico mondo” è banale ma faticoso insieme: se nessuno ti capisce, trova la strada per raccontarti attraverso il tuo tempo.
Quali tendenze osservi nell’arte contemporanea? C’è qualche sviluppo futuro o area emergente che ti eccita particolarmente o che prevedi diventerà più influente nel prossimo futuro?
La scomparsa della dimensione umana dal centro delle opere. Ultimamente si tende ad uno scenario eccessivamente coloristico/decorativo per autodefinirsi all’interno di campi di ricerca mainstream, che “non pestino i piedi a nessuno”. Tutto questo comporta che il prezzo da pagare è una mancata analisi delle profondità odierne, con il conseguente svilimento del ramo di denuncia sociale che l’arte contemporanea ha sempre avuto (vedi Pino Pascali ed Emilio Vedova alla Biennale del ’68).
Nutro però tantissime speranze nella pittura contemporanea, che mai come negli ultimi anni ha raggiunto livelli di ricerca molto alti e sembra pronta a fare il cosiddetto salto “politico”.
Come definisci il “successo” per un artista nel contesto dell’arte contemporanea? C’è un bilanciamento tra riconoscimento critico, popolarità e integrità artistica che consideri ideale?
Non credo nel concetto di successo alla Andy Warhol, ma credo in una riconoscibilità della ricerca artistica.
Più è efficace la veicolazione del messaggio, più diventa popolare, e maggiori ed immediati sono i riscontri con il grande pubblico.
Quello del riconoscimento critico invece, lo sappiamo bene, è un capitolo lungo e complesso che non deve mai scoraggiare chi comincia… e chi persiste! La vera arte non tarda ad arrivare.